di Giacomo Sartori
se fossi un intellettuale
farei ogni mattina
(prima o dopo la defecazione?)
seriosi gargarismi cerebrali
esegetici o anche prescrittivi
come usano gli intellettuali
se fossi stato più sensato
non avrei sfidato il vento cattivo
avrei lasciato perdere le parole
mi sarei dedicato solo alla terra
(masticando sintagmi altrui)
se avessi scritto una storiolina
o storiona di successo
farei l’autore di successo
sparerei cazzatone sui giornali
con autentica finta modestia
o finta autentica modestia
(sceglierei lì per lì)
se nei risvolti delle tasche interne
non avessi resti di nefandezze
guarderei dritto davanti a me
i miei occhi sarebbero chiari e buoni
(talvolta molli di commozione)
se non scappassi sempre
da un posto all’altro
da una vita a un’altra vita
dalle parole alla terra
e poi di nuovo dalla terra alle
frasi e ancora e ancora
il mio respiro sarebbe lieve
le mie orme trasparenti
se la mia voce fosse nitida e modulata
(anziché monocorde e impastata)
partorirei prolisse allocuzioni
e certo anche teleconferenze
o interviste televisive
o anche solo ai banconi dei bar
nelle cene con gli amici
se fossi arrivato a una qualche conclusione
la brandirei su un’asta di bandiera
o anche la chiuderei in uno scrignettino
come una reliquia senza prezzo
se i se non fossero se
i re non sarebbero re
e a me tra i tanti ma
rimarrebbe un margine
di ma-novra
se non fossi stato attratto dalle parole
come un insetto da una luce letale
non mi sarei bruciato pupille e ali
se avessi fatto felice un essere
in qualche tempo o situazione
me lo direi la notte come
si tira la coperta sotto il mento
in inverno
se non fossi così confuso
volerei verso le conclusioni
con ali ieratiche di vasto uccello
e poi le abbandonerei
nel primo cestino di rifiuti
come superflui fardelli
(non riciclabili)
se non fossi schiavo del desiderio
avrei desiderato davvero qualcuno
davvero qualcosa
(con un po’ di culo
l’avrei forse avuto)
se mi dedicassi alla terra logorroica
quanto alle parole taciturne
non mi perderei in mille tira e molla
di eterno cultore dilettante
sarei arrivato certo a qualcosa
se fossi stato più saggio
non avrei cercato di cambiare
sempre tutto e tutti
mi sarei accanito su me stesso
se mi fossi curato
la notte non avrei l’incubo dell’assassino
non mi sveglierei gridando
se avessi generato dei figli
farei il genitore un po’ deluso
ma anche moderatamente fiero
e tutto sommato pago
se fossi stato più coraggioso
non mi sarei nascosto
tra le ramaglie dei giorni
sarei uscito allo scoperto
se i se non fossero se
i re non sarebbero re
e a me tra i tanti ma
rimarrebbe un margine
di ma-novra
se mi fossi suicidato
farei il suicida
sigillato nel suo silenzio
torbido e rancoroso
(ma pur sempre struggente)
di suicida
se fossi stato più versato
(per la terra ciarliera o
per le parole mute?)
o anche solo più conseguente
non mi sarei accanito ogni giorno
a spostare montagne sempre simili
facendo e disfacendo e rifacendo
come un titanino insano di mente
se non avessi mai ferito nessuno
i miei passi sarebbero carezze d’aria
i miei pensieri farfalline di vetro soffiato
se avessi creduto in me stesso
non mi sarei denigrato
mi sarei offerto più spesso dolcini
di marzapane e torroni di Jijona
glabri apparecchietti digitali
museali o marittime vacazioni
ma soprattutto soprattutto
avrei perseguito qualche tangibile
e iconico obiettivo
se fossi giunto a una qualche sintesi
la sussurrerei con gli occhi
alle persone per strada o sul treno
le labbra ben ben immobili
se non pensare m’avesse rinsavito
riderei delle miserie quotidiane
non sarei in balia del mio insalubre
cervello e di me stesso
se però non avessi mai patito
sarei ancora più imbecille
di quello che sono adesso
questo mi va riconosciuto
se i se non fossero se
i re non sarebbero re
e a me tra i tanti ma
rimarrebbe un margine
di ma-novra
Questo è un articolo pubblicato su Nazione Indiana in: se fossi un intellettuale
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