di Giacomo Sartori
poi ricordo
quando mi scopro stanco
o le cose smottano
mi dico che
devo proprio chiamarti
(il solito opportunista)
poi ricordo
che sei morta
la psicanalista mi dice
la psicanalista mi dice
che da bambino
m’hai preso in ostaggio
sa che so
ci tiene però a ribadirlo
non infierisce sul presente
accarezza il coperchio
della trappola terapeutica
(e insomma retorica)
posponendo l’affondo
certo prematuro
con magnanime inspirazioni
d’umanesimo junghiano
le nostre chiamate
le nostre chiamate
si avviticchiavano
al tempo atmosferico
e alle maniglie dei giorni
in reciproca auscultazione
dei carsi sotto le frasi
tu parlavi dei temporali
della forsizia
del primo ministro
io covavo sunti impacciati
per cibare quella gaiezza
certo di facciata
ma anche struggente
quando vieni?
sbottavi come per caso
deglutendo un respiro
di bambina
quei nostri abboccamenti
così pregni e così vacui
in bilico su impossibilità
diverse per me e per te
(lasciamo stare le colpe)
perseveravano tre minuti
e tot secondi
quattro minuti e tot secondi
lo decretava il display
come precipitando nel tempo
vagando con la forchetta
discettavi degli scandali
della paga dei parlamentari
dell’onnipresenza del papa
impennavi il mento
strizzando le guance
minuscola e fremente
inscenavi insomma te stessa
poi invece ridevi
arcuata in avanti
con scrosci irrefrenabili
come precipitando nel tempo
ubriaca d’allegria
qualche volta mi riusciva
dimenticavi la tua parte
e i novant’anni
eri di nuovo la discola
con l’insolente zazzera
di rame
tramite l’indovina
tramite l’indovina
mi hai detto
che non m’hai capito
ti sei scusata
dopo l’iniezione
dopo l’iniezione
per ucciderti
guardavi sopra le nostre teste
rilassata e come stupita
ma anche divertita
un cinema tutto per te
danze certo di morti
quindi anche ironica
i fremiti nelle guance
di chi sta per ridere
proprio così t’avrei voluta
potendo resettare
m’accorgevo
(% continua)
mater è un articlo pubblicato su Nazione Indiana x.