di Giacomo Sartori
Allora, sono già passati sei apprensivi mesi dall’uscita del mio ultimo romanzo, un altro strato di claustrofobici mattoni di carta si sta sedimentando sopra quello prevacanziero, dove già si notano ragnatele e avvisaglie di muffa (prodromi dell’oblio definitivo?), nell’inesorabile compiersi dei cicli letterari, è ora di fare un po’ di bilanci! Io sono di quelli che pensano che nella vita bisogna sempre cercare di migliorare, e per realizzare questo la prima cosa è fare periodicamente il punto della situazione, non esitando a vedere le cose come sono, e se necessario scavando nella carne viva (una sorta di autoanalisi). Pronti soprattutto a ammettere che si è sbagliato, o insomma che il male viene da dentro.
Andiamo con ordine, e cominciamo a contabilizzare le recensioni cartacee che il mio romanzo si è meritato:
- recensioni su quotidiani nazionali: 0;
- recensioni su settimanali (di qualsiasi genere): 0 (per rigore metodologico non conto quella su Internazionale, perché scritta da una cittadina americana, che nessun analista serio potrebbe includere nell’insieme patrie lettere);
- recensioni su quindicinali (di qualsiasi genere): 0;
- recensioni su riviste letterarie mensili: 0;
- recensioni su riviste letterarie trimestrali o quadrimestrali: 0;
- recensioni su riviste culturali (senza considerare la cadenza): 0;
- segnalazioni o interviste su radio nazionali (assimilandole a prodotti cartacei): 0;
- passaggi su reti televisive anche regionali (assimilandole a prodotti cartacei): 0.
Il totale, non bisogna essere molto forti in matematica, fa zero. Io adoro gli esiti estremi e la purezza (parlo della letteratura), e amo superare me stesso, quindi non posso non provare una certa soddisfazione. Non vorrei apparire ironico, perché non lo sono (anche se è vero che per certi aspetti la cosa mi procura un insano gaudio). Come dire, accetto questi risultati che sono forse coerenti con il mio modo di essere e il mio statuto di clandestino (privo di documenti identificativi) nello staterello delle lettere.
Ma entriamo un poco nei dettagli. Si sa, con le case editrici molto piccole bisogna arrangiarsi, e quindi oltre al ruolo di scrittore (uso questo termine solo per conformismo espositivo, per parte mia mi ritengo piuttosto uno scrivente), che si aggiunge a quelli di indagatore di terre forestate, di giudice di terre dissodate, di studioso di umificazioni, di cartografo, di insegnante, di malato cronico, di marito, di cuoco, di donna dei mestieri, di figlio sinistrato, di fratello rompicoglioni, di volontario, di confidente sentimentale, di blogger (un pochino), di veterinario (la gatta dei vicini), di giardiniere (la selva quasi vergine davanti casa), di pallido flâneur, e mi va bene che non ho figli o madri con l’Alzheimer, tocca accollarsi anche quello di ufficio stampa (a sostegno di quello anemico della bella casina editrice), alias di questuante. E quindi con la morte nel cuore, ho cercato di lambiccarmi per fare del mio meglio, mettendo in moto tutte le mie capacità (come sempre), seppellendo ogni fierezza.
Scusandomi dell’uso corrivo, e certo criticabile, del termine critico (che del resto include anche gli sporadici soggetti femminili, a dispetto di un’utenza precipuamente femminile), analizziamo assieme i risultati:
- critici che mi hanno risposto “le dico francamente, non me lo mandi, perché in questo momento ho la scrivania sommersa”: 4;
- critici che conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “ti dico francamente, non mandarmelo, perché in ogni caso non potrei parlare del tuo libro, perché non sono io a decidere”: 2;
- critici che conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “lo leggo molto volentieri, ma sa com’è, quando sei in pensione nel giornale non conti più niente”: 1;
- critici che conoscono benissimo e apprezzano il mio lavoro e mi hanno detto “lo leggo senz’altro, solo dammi un attimo”: 2;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, lo leggerò volentieri” (ma il tono del messaggio era forse ironico?): 1;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, lo leggerò” (ma il tono del messaggio era forse rassegnato?): 1;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, cercherò di leggerlo (ma il tono del messaggio era sufficiente, o peggio strafottente?)”: 1;
- critici che conoscono il mio lavoro e che mi hanno detto: “sa, a forza di leggere e recensire libri ho provato una grande stanchezza, e ora non faccio più nulla”: 1;
- critici che conoscono benissimo il mio lavoro e che mi hanno detto: “sai, non collaboro più con nessun giornale” (dando a intendere l’ingiustizia connessa): 2;
- giovani critici molto influenti che conoscono il mio lavoro e che mi hanno detto quasi papale: “proprio non voglio leggerti, non sai scrivere” (il piglio non era affatto ironico): 1;
- critici che conoscono bene il mio lavoro e non mi hanno risposto: 1;
- critici che verosimilmente non conoscono il mio lavoro e non mi hanno risposto: 3;
- professori universitari di letteratura di chiara fama che certo non mi hanno mai sentito nominare, e che non mi hanno risposto: 1;
- professori universitari di materie psicologiche che certo non conoscono il mio lavoro, e che non mi hanno risposto: 2.
Tirando le somme, il tasso di risposte è stato davvero molto alto (soprattutto se si esclude l’ultimo sottoinsieme, corrispondente a tentativi espletati in realtà per curiosità, se non per gioco). E questo è un insperato risultato. Perché queste persone avrebbero dovuto rispondermi, in un paese in cui per costume nessuno risponde, quando non c’è in gioco un tornaconto personale o un obbligo istituzionale? E invece si sono prese la briga di perdere un po’ del loro tempo per farmi sapere qualcosa. Certo, io avevo cercato di essere meno invadente e importuno possibile, mi ero scusato e avevo sottolineato in tutti i modi la mia strisciante docilità, la dolorosa consapevolezza dell’incongruità quasi patetica del mio agire, in certi casi la mia ammirazione (genuina), ma loro non mi hanno mandato a quel paese. Io credo che si deva sempre guardare al lato positivo delle cose. Di nuovo, non faccio dell’ironia, lo dico davvero, e anzi mi piacerebbe poter esprimere in qualche modo la mia riconoscenza, perché questi individui retti, hanno compiuto un piccolo atto a cui nessuno li obbligava. Forse lo hanno fatto perché gli facevo pena, o per carità cattolica, o per timore che diventassi insistente (cosa che non farei mai), ma insomma il mio rapporto con la critica, chiamiamola così, si può considerare complessivamente positivo.
E se questo romanzo non si è guadagnato delle recensioni, lungi da me ogni pusillanime e risibile vittimismo, vuol dire che non le meritava. Probabilmente quell’ammasso di parole scritte senza fretta non valeva che si spendesse su di esso un pacchettino anche affrettato di parole scritte, probabilmente i cristalli di senso che io pensavo averci riposto erano vetracci comuni. La pioggia di altezzosi rifiuti editoriali che aveva incassato sembrerebbe fare pencolare la bilancia in questo senso. Con l’aggravante allora di aver io coscientemente appesantito una produzione libraria per ammissioni di tutti già pletorica (senza parlare dei risvolti ecologici, ai quali sono assai sensibile), esacerbando il sovraccarico dei poveri critici. E forse anche di aver abbassato, seppure infinitesimalmente, il livello mediano già non eccelso.
Certo, non sono solo ingenuo, anche se veglio a preservare la mia ingenuità (essenziale per quello che scrivo), se la mia fosse stata una muscolosa casa editrice, o anche una casina seducentina, o se fossi stato un giornalista di nome, una presentatrice, un’astronauta, o anche solo un incestuoso critico, o un politico con melensi afflati narrativi, o anche solo il tema fosse stato meno ostico, e il fraseggio più empatico, o più ammiccante, il tasso di recensionamento (t = R/Sa x100, dove R sta a numero di Recensioni e Sa a numero di Sollecitazioni autoriali non auspicate) si sarebbe impennato, ma la storia non si fa con i se, e io sono pago di quello che sono, e del risultato che ho conseguito. Come dire, il rapporto che intrattengo con la letteratura è viscerale e fondamentalista, e certo quei succinti componimenti, per quanto molto auspicati, per quanto arguti e incoraggianti, non lo avrebbero alterato più di quanto gli incitamenti e le spintarelle sostengono un ciclista stremato dall’erta. La mia vera forza, come quella del ciclista, sta nei miei polpacci, aiutati dal mio personale doping, la stima di certi corridori (di parole) che ammiro, di atleti di altre squadre meno consanguinee, meno anossiche.
Affrontiamo adesso il capitolo dolente delle spese, che erodono il già esile anticipo ricevuto:
- spese di affrancatura nazionale (“piego di libri”): 1,28 € x 21 = 26,88 €;
- spese di affrancatura nazionale con frode (“piego di libri” contente una frase o un testo, esplicitamente vietati): 1,28 € x 11 = 14,08 €;
- spese di affrancatura da paesi esteri 7,00 € x 11 = 77,00 €;
- spese di affrancatura da paesi esteri e pericolosi 21,10 $ x 1 = 21,10 $;
- spese per buste imbottite con bollicine esplodenti stressicide (al netto delle buste riciclate): € 15,20;
- spese per copie inviate: 0,00 € (gentilmente concesse dalla casetta editrice).
- spese per antidepressivi (di varia natura) e di antidoti per qualche attacco di nausea: 173,25 €.
Insomma, ci sono anche svariati contro, ma poteva andarmi molto peggio, con un testo tanto pessimo: potevo ricevere ingiurie, o magari denunce penali, multe. Fermo restando che nella vita non è sempre facile vederci chiaro. Forse se me ne restavo quieto (come certo farò in futuro, archiviata quest’ardua sperimentazione) qualche critico saturo di mainstream e medietà e nepotismi avrebbe scritto una recensione: non sarebbe la prima volta che un romanzo pessimo viene considerato, succede anzi ogni giorno. O forse il mio romanzo non è poi così pessimo, vallo a sapere (come ponderare un albergo, se nessuno gli ha attribuito le stelle?). Ma allora? Allora scrivo un altro romanzo, sforzandomi che sia meno pessimo possibile, e ancora più integralista.
Las cuentecitas que los pobres hacen nunca salen bien (canzone gitana)
(l’immagine: installazione, curata da Gaetano Vella e Giampaolo Riolo, sulla scalinata della Cattedrale di Agrigento)
Recensioni e tasso di recensionabilità (esercizi di contabilità letteraria) è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.